Villa Antonino Giunta - Contrada Bugilfezza
Vanedda Amuri è il locale toponimo della sinuosa stradina, che s'apre lungo la
Statale 115 al crocevia di Cava d’Ispica e guida al ferreo cancello della Villa Giunta
in
contrada Bugilfezza, feudo ricordato nei diplomi del 1303, il cui nome - a dire
dello storico
Raffaele Solarino, autore della pregevole opera
"La Contea di
Modica" - è di sicura derivazione araba: da
Burg, terra e
Feiz, nome di persona e di
casato.
Ignoriamo, invece, se la denominazione Vanedda Amuri sia da attribuire ai folti e
spinosi rovi dai dolcissimi frutti, detti
amuri, appunto, che abbracciano i muretti a
secco, oppure sia da ricondurre al seducente intreccio di un innamoramento
ancora tutto da scoprire. Comunque sia, è piacevole sostare nell'ampio cortile, su
cui prospetta l'elegante residenza signorile con le sue solari stanze, eco dei fasti del
passato, inscritti anche nelle decorate pietre di porte e balconi.
Il primo nucleo della Villa, immersa nel verde argenteo di un grande uliveto, risale
al secolo XVIII e precisamente alla committenza di
Tommaso Scrofani sposo di
Isabella Alagona e padre del celebre letterato ed economista modicano
Saverio
Scrofani, che villeggiò in questo luogo e dalla splendida terrazza del prospetto
rivolto all'orizzonte del mare Mediterraneo, immaginò i suoi avventurosi itinerari
di "giornalista viaggiante". Successivamente, nel 1861, quest’originario nucleo fu
ingrandito con l'edificazione di un altro corpo di fabbrica, che, alla fine dello stesso
secolo, passò alla famiglia Giunta in seguito al matrimonio della
Baronessa A.
Maria Scrofani con
Don Antonio Giunta, come è possibile apprendere dalla
genealogia Alagona-Scrofani-Giunta.
La Villa conserva il suo accesso originario ed il suo armonico linguaggio
architettonico che certificano, pur nell'alternarsi dei tempi di costruzione, le
festose villeggiature di una classe agiata e raffinata, dedita anche al razionale
sfruttamento della campagna e delle sue risorse. I fabbricati rurali di pertinenza
della Villa, destinati attualmente ad azienda agrituristica, rinviano al primo
Ottocento se non a periodi antecedenti, come documenta la loro originaria
aggregazione.
L’accurata e sapiente ristrutturazione degli ambienti, la museografica
conservazione degli attrezzi di
lavoro agricolo tradizionale, il riuso dei magazzini e
la rivalutazione delle pietrose macine del
trappeto oleario, rievocando le storiche
partiture di questa memorabile terramare iblea, offrono gli indimenticati soggiorni
che solo la più accreditata ospitalità siciliana sa ancora dolcemente elargire.
Grazia Dormiente
Insegnante di Lettere in pensione e studiosa di storia ed etnografia di Ragusa e
dintorni