A
otto o nove anni sono stato innamorato di una giovanissima acrobata di circo.
Pupetta era la figlia del proprietario. Il circo era uno di quelli che si fermano
soltanto nei piccoli borghi di provincia. Era piccolissimo anche se per me era
il massimo. Quando arrivava montava il tendone nella spianata antistante la
scuola elementare ora villetta e tutti i pomeriggi gli «artisti»,
animali compresi, sfilavano per le vie cittadine invitando la gente a partecipare
al fantasmagorico spettacolo che si sarebbe tenuto la sera.
Problema: chi doveva accompagnarmi? Mio padre non poteva, visto che tornava
tardi da Palermo dove lavorava e la mattina doveva alzarsi ancora col buio per
prendere la corriera che doveva riportarglielo. Soluzione: qualcuno dei miei
cugini più grandi, Ciccio o Gennaro, o entrambi. Due ragazzoni alti e
robusti di circa ventanni che vivevano con nostra nonna che i genitori
e il resto dei fratelli (sei) erano emigrati in America qualche anno prima.
Sulle prime non ne volevano sentire. Che dobbiamo andarci a fare, dicevano,
a vedere quattro sfasolati ? Non ne valeva la pena.
Pinò, mi chiamavano così, vuoi venire stasera al circo? Si, questo
invito, me lo rivolsero il giorno dopo la «prima».
Era di domenica. Quella mattina nella banchina, cosi e chiamata la piazza del
mio paese, li avevo sorpresi mentre con altri amici sfottevano Turiddu detto
il guercio per via di un occhio di vetro perche la sera prima era andato al
circo. Loro dicevano non ci sarebbero mai andati a meno che non fossero stati
costretti. La mia costernazione era immensa, che, i miei mai mi avrebbero lasciato
andare da solo di sera. Mentre tornavamo a casa di nonna, Turiddu che abitava
nella stessa strada continuava a vantare lo spettacolo del circo ed era talmente
entusiasta di una acrobata Pupetta che gli brillava lunico occhio sano,
o era laltro (?) mentre ne parlava. Notai che quando accennava a Pupetta
guardava me allusivamente e, ammiccando ... picciotti e bravissima, capitemi!
Io capivo soltanto che Turiddu voleva convincere i miei cugini ad andare al
circo e ovviamente speravo che riuscisse nel suo intento. Ma quelli erano irremovibili
anche se ora, dopo tutti gli ammiccamenti di Turiddu, sembravano un po
piu ammorbiditi. Ma no, solo se costretti sarebbero andati a vedere cose che
manco i picciriddi ne volevano sapere, continuavano a ripetere. Non era vero,
intervenni io, io ero picciriddu e ne volevo sapere. Come se loro frequentassero
abitualmente il lido di Parigi. Li odiavo. A tavola dalla nonna stavo per impetrare
la grazia da mio padre quando mi sentii rivolgere quellinvito da Gennaro.
Pensavo mi prendesse in giro. No, diceva sul serio. Ne fui certo quando mia
nonna si offri di pagare lei il mio biglietto e i due bellimbusti accettarono
i soldi. Non vedevo lora che facesse buio. Per fortuna era inverno ed
era buio abbastanza presto. Allorario stabilito passammo a chiamare Turiddu.
Potete pensare quello che volete ma io ci vado ogni sera, aveva, infatti, concluso
la mattina prima di accomiatarsi da noi. Ah, alla fine vi siete convinti a vedere
lo spettacolo che manco i picciriddi vogliono vedere? Ma no, risposero quelli,
Pinuzzu (sono sempre io) piangeva e mia nonna ha voluto che lo portassimo al
circo. Capito? Ero il loro alibi per salvare la faccia con gli amici. Infatti
mi guardarono male quando io protestai che non era vero che piangevo e che anzi
stavo per chiederlo a mio padre che sicuramente mi avrebbe accontentato visto
che era domenica.
Il
Circo Colber - 1
di
Giuseppe Perricone