A
quei tempi, Mastro Gaspare era uno dei pochi in paese a possedere più
di una casa; ciò era dovuto al fatto di essere uno dei mastri muratori
più richiesti e rinomati sia in paese che nel circondario, Palermo
compresa. La spesa non fu eccessiva rispetto al reale valore dell'immobile.
Era in pieno centro. L'ingresso principale infatti dava direttamente sulla
piazza del paese e il secondario, sul retro, in una stradina che dopo breve
tratto si concludeva in campagna. Constava di quattro stanze tutte comunicanti;
le prime tre erano perfettamente allineate e dall'ultima di esse si accedeva
alla quarta tramite un ingresso che si apriva nella parete di sinistra. In
quest'ultima camera era stato ricavato uno stanzino per i servizi igienici.
Alla destra di ognuna delle prime tre c'era un camerino. Gaspare, dopo avere
apportato alla casa alcune riparazioni resesi necessarie dopo tanti anni di
abbandono, vi si stabilì con la famiglia. Adibì la prima stanza,
quella che dava direttamente sulla piazza, a soggiorno-sala da pranzo e il
camerino adiacente a cucina; la seconda era la sua camera da letto col camerino
che fungeva da stanzetta per il piccolo Andrea; la terza stanza era occupata
dai due figli più grandi, Ciccio e Damiano e nel relativo stanzino
venivano riposti gli attrezzi da lavoro. L'ultima era quella di Rosina. L'arredamento
della stanza era costituito da un lettino posto subito a sinistra entrando,
un pesante armadio a due ante, un tavolinetto appoggiato alla parete di destra,
proprio sotto una grande finestra con la grata, e, ai piedi del letto, una
sedia, sulla cui spalliera la bimba, prima di coricarsi, riponeva i vestiti
che aveva indossato durante il giorno.
Era da circa un mese che la famiglia Lo Monaco dimorava nella nuova abitazione
quando una notte furono tutti bruscamente svegliati dalle grida terrorizzate
di Rosina. Solo Andrea, il più piccolo dei figli, continuò a
dormire pacificamente. Non appena Gaspare si fu reso conto che quelle urla
provenivano dalla stanza della figlia, saltò giù dal letto e
vi si precipitò come una furia. Ciccio e Damiano erano già lì
che cercavano vanamente di consolare la sorella. Ma questa continuava a urlare
disperata e solo quando avvertì la presenza del padre, senza smettere
di piangere e stringendosi a lui, assunse una espressione rassicurata. Infatti,
sentendosi ora al sicuro, prese a inveire con parole apparentemente sconnesse
in direzione della base dell'armadio: - Vai via ora? Hai paura di papà?
Brutto vigliacco, fai tornare sù Angelo! Gaspare immaginò subito
che la figlia aveva "visto" qualcosa o qualcuno che "non apparteneva
a questo mondo". Portò la bambina nel proprio letto e invitò
gli altri figli a riprendere il sonno così bruscamente interrotto e
per tranquillizzarli, li convinse che la sorella aveva avuto un incubo. Quando
si furono messi a letto, l'uomo chiuse la porta della stanza di Ciccio e Damiano
e con fare suadente chiese alla bimba di raccontargli l'esperienza che aveva
appena vissuto, cosa che lei fece subito.
Già da qualche notte la bambina veniva destata da strani rumori che
sembravano provenire dall'armadio. La paura la costringeva a rintanarsi sotto
le coperte malgrado la curiosità, prerogativa principale dei bambini,
la spingesse a verificarne la reale origine.