Pian pianino scostò
da sé Rosina e scese dal letto cercando di produrre il minor rumore
possibile. Decise che quel giorno non si sarebbe recato al lavoro, avrebbe
mandato al cantiere Ciccio, che già lo coadiuvava, con le istruzioni
per gli operai, ma quando stava per svegliarlo pensò che si sarebbe
rivelato un padre quanto meno insensibile se lo avesse fatto, considerato
che neanche il ragazzo aveva avuto una nottata tranquilla. Infatti, ricordò
di aver notato che fino a meno di un'ora prima era ancora sveglio. Vedendolo
ora dormire serenamente, seduto sul materasso e con le spalle ancora appoggiate
al muro, rinunciò all'idea.
Aveva appena finito di rivestirsi, quando sentì bussare alla porta.
Era uno dei suoi operai, mandato dagli altri ad informarsi sulle cause del
suo insolito ritardo e per apprendere eventuali nuove disposizioni in merito
al lavoro della giornata.
Mastro Gaspare gl'impartì alcune direttive e gli disse che quel giorno
non si sarebbe recato al cantiere né lui né il figlio perché
aveva la bambina che stava poco bene, e che egli stesso doveva accompagnarla
dal dottore, mentre Ciccio doveva rimanere a casa per badare agli altri.
Congedato l'operaio, rientrò nella camera da letto dove si aspettava
di trovare i figli ancora addormentati, ma si accorse che il grande non era
più al suo posto. Infatti questi si era alzato, si era vestito ed era
già intento a lavarsi.
Gaspare lo raggiunse nel bagno e lo invitò a tornarsene a letto per
recuperare il sonno perduto, ma il ragazzo insistette nella sua determinazione
di recarsi al lavoro ché: - L'occhio del padrone ingrassa il cavallo.
- disse col tono di chi sentendosi già uomo maturo ne ha anche il senso
di responsabilità e il padre, fiero di lui, accondiscese al suo desiderio.
Pensò che era meglio lasciare riposare Rosina ancora un pò,
di svegliare Damiano e Andrea e mandarli da sua madre. Tutto questo per avere
più libertà d'azione in casa. Doveva venire a capo di quella
vicenda che stava rendendo impossibile la vita alla sua famiglia, anche se
ancora non aveva la più pallida idea sul da farsi.
Prima svegliò Damiano scuotendolo dolcemente per la spalla e poi, mentre
questi si rivestiva, preparò la colazione; poi prese in braccio Andrea
e, per evitare che il suo frignare disturbasse Rosina, ancora addormentata,
lo portò nell'altra stanza dove il caffellatte era già pronto
nelle scodelle.
Consumarono la colazione in silenzio, dopo di ché Gaspare aiutò
il piccolo a lavarsi e a vestirsi, e rivolgendosi al più grande disse:
- Damiano, ascoltami. Accompagna Andrea dalla nonna e rimani con lui ché
la nonna é anziana e non può stargli continuamente appresso.
Mi raccomando.
- Non ti preoccupare, papà, non lo lascerò un minuto da solo,
puoi stare tranquillo.
- E... senti...., un'altra cosa... Non dire niente alla nonna di quello che
é successo stanotte, se é il caso glielo racconterò io
stesso dopo.
Li vide allontanarsi tutti e due tenendosi per mano.
Ogni tanto Andrea cercava di svincolarsi, per fermarsi o per correre verso
qualcuno o qualcosa che aveva attratto il suo interesse lungo la strada, ma
il fratello non gli lasciava spazio. Ogni volta che doveva trattenerlo da
questi tentativi di fuga, Damiano si voltava indietro per guardare il padre
rimasto davanti la porta di casa ad osservarli. Gli mostrava con quanta cura
stesse ottemperando ai suoi obblighi di fratello maggiore.
Gaspare non poté trattenere un moto d'orgoglio nei loro confronti.
Era fiero dei suoi figli. Per la prima volta li vedeva sotto una luce diversa.
Ormai Ciccio e Damiano non erano più quelli che fino a poche ore prima
aveva considerato bambini. Erano due ometti autosufficienti che con molto
senso di responsabilità cercavano di rendersi utili alla famiglia e
di proteggerla. Ciccio lo aveva dimostrato la notte precedente, quando, armato
di un semplice coltello era accorso in difesa del padre e della sorella, pronto
a lanciarsi contro chiunque attentasse alla loro sicurezza, sebbene anch'egli
fosse morto di paura. Quella stessa mattina aveva reso palese anche il suo
attaccamento alla famiglia avendo voluto recarsi necessariamente al lavoro,
nonostante il padre lo avesse consigliato di rimanersene a casa.
Damiano non era stato da meno. Terrorizzato anche lui, aveva dovuto infondere
coraggio al fratello minore nel buio camerino di quest'ultimo e proteggerlo
da qualcosa di cui non aveva nemmeno lidea. L'atteggiamento da adulto
che aveva assunto nell'assicurargli con quanto scrupolo avrebbe accudito al
fratello una volta in casa della nonna denotava che anche il suo secondogenito
possedeva un senso della responsabilità non comune per un ragazzetto
di nemmeno dieci anni.
Mastro Gaspare aveva veramente motivo di essere orgoglioso dei propri figli.
Peccato che la loro madre, Donna Giacinta, non potesse vederli, anche lei
ne sarebbe stata fiera.
Rientrato in casa prese a rimettervi ordine. Rimise al loro posto i materassi
su cui avevano dormito Ciccio e Damiano e, mentre era intento a rifare i loro
letti sentì la vocina preoccupata di Rosina che lo chiamava dall'altra
stanza:
- Papà! Papà, dove sei?
Accorse con ansia al capezzale della figlia e la trovò seduta in mezzo
al letto con gli occhi già colmi di lacrime.
- Sono qui, tesoro mio. Stai tranquilla ché non ti lascio. Vieni qui,
in braccio a me. Così, brava. Aspetta che ti asciugo gli occhi.
Prese dalla tasca il fazzoletto e glielo passò delicatamente sul viso.