Gli
occhi spalancati all'inverosimile, quasi fuori dalle orbite, erano fissi in
modo innaturale in un punto indefinito della stanza, la bocca spalancata emetteva
ora una specie di sibilo molto acuto. Aveva il respiro affannoso e irregolare.
Le nocche delle dita erano biancastre per la forza che la bimba metteva nel
serrare le mani attorno agli staggi della sedia. A quella vista Mastro Gaspare
si bloccò esterrefatto. Temette che la figlia avesse subito un trauma
tale da farle perdere il senno. Non sapeva che fare, conscio com'era che in
tutto quello che stava capitando alla sua bambina non c'era niente che potesse
essere spiegato in modo razionale. Poi gli sovvennero alla mente "I durici
paroli d'à virità" (Le dodici parole della verità).
Queste erano orazioni che la madre gli aveva insegnato da bambino e che si
recitavano soltanto in rarissime occasioni come gravi calamità naturali
o per scongiurare eventuali "presenze malefiche soprannaturali".
Ora, secondo Gaspare, si stava verificando la seconda delle due condizioni:
Rosina era vittima d'i Spirdi ! Il pover'uomo, con le lacrime agli occhi,
trepidante per la sorte della figlia, si segnò e sommessamente prese
a recitare: - Unu supra di Diu 'un ci pò nissunu. Dui i tavuli chi
purtò Mosè d'u munti Saia (Sinai). Tri pirsuni d'à Santissima
Trinità. - Si fermò un istante come a voler prendere fiato e,
in crescendo, con un tono di voce man mano più stentoreo, riprese:
Quattru Evangelisti: Luca, Marcu, Giuvanni e Mattiu. Cincu li chiai di nostru
Signuri Gesù Cristu. Sei i missi chi Diu dissi. Setti i cannili c'addumanu
in allirìa 'nnanzi alla Vergini Maria. Ottu cori d'Ancili. Novi armuzzi
giusti. Deci i Cumannamenti di Diu. Unnici i rai du suli. Durici i paroli
d'à virità!!! Le ultime frasi furono pronunciate con veemenza
e rabbia. L'orazione sortì l'effetto sperato. Infatti Rosina sembrava
tornata quasi alla normalità. Ora il suo corpo era scosso da singulti,
teneva gli occhi e la bocca chiusi e calde lacrime liberatorie le inondavano
il viso. Gaspare si chinò vicino a lei e per prima cosa, non senza
una certa fatica, le liberò le mani che teneva ancora fortemente serrate
alle traverse della sedia, poi, finalmente la tirò fuori dalla sua
prigione. Quando la bimba fu liberata, anche lui si accasciò per terra.
La prese in braccio e con lei stretta fortemente al petto rimase a lungo in
quella posizione carezzandole i capelli e il viso e chiamandola dolcemente
per nome. Ad un tratto il tocco leggero e delicato di una mano sulla spalla
lo fece sobbalzare.
- Papà...! Papà...! Che ha Rosina? Che le è successo?
- Era Ciccio, con ancora il coltello in mano; dietro di lui veniva Damiano
col piccolo Andrea addormentato fra le braccia. Solo allora Gaspare si rese
conto del tempo trascorso; infatti, osservando la candela accanto a sè,
si accorse che ne restava ormai soltanto un mozzicone. Si sollevò gravemente
da terra con la figlia che, anche se dormiente, non accennava ad allentare
la stretta con cui gli si teneva aggrappata al collo. Quando si accorse che
Ciccio stringeva ancora il coltello nella mano e che continuava a scrutare
guardingo ogni anfratto della camera con atteggiamento timoroso e tuttavia
di sfida, non potè trattenersi dal sorridergli. Gli si avvicinò
e con uno strattone affettuoso lo strinse a sè. Notò pure le
guance rigate di pianto di Damiano che, impaurito com'era, cercava anche lui
di assumere un contegno il più virile possibile. Gaspare era commosso.
Li strinse teneramente a sè e lasciando il residuo di candela a consumarsi
in quella stanza, spingendoli con tenerezza, uscì di lì insieme
a loro...